Curcio Medie

La litosfera, l’atmosfera e l'idrosfera sono i domini in cui è divisa la parte più superficiale della Terra; essi non sono separati, ma in continua e profonda interazione, in un equilibrio che si modifica nel tempo.
Infatti, ogni modificazione che riguarda uno di questi domini produce inevitabilmente cambiamenti anche in tutti gli altri.
Da qualche migliaio di anni a questa parte, è pesantemente intervenuto un altro fattore ad alterare quegli equilibri: l’uomo come dominatore della biosfera, termine con il quale si definisce l’insieme dei viventi sulla superficie della Terra, nell’aria e nell’acqua.
La biosfera è un insieme discontinuo distribuito in maniera non omogenea, ciò la rende particolare e difficile da inquadrare nella sua variabilità, soprattutto per la presenza dell’uomo.
Mettiamo bene in evidenza come l’aspetto della Terra derivi da un equilibrio dinamico che richiede tempi estremamente diversi da quelli umani e che è globale, ossia piccole variazioni in zone anche molto lontane e differenti possono provocare scompensi nell’equilibrio generale.


Prendiamo quindi in esame le risorse principali, come i combustibili fossili e alcune delle più importanti fonti di energia direttamente connesse all’attività della Terra.

Equilibrio globale
Un assestamento continuo degli equilibri interni ed esterni presiede, dunque, ai fenomeni che caratterizzano il pianeta Terra.
Si può pensare, per comodità, a un equilibrio interno – chiamato «geodinamico», relativo alle caratteristiche fisiche interne della Terra –, controllato dagli scambi di calore in profondità, e a uno esterno – detto «geomorfologico», relativo all’aspetto superficiale della crosta terrestre –, regolato principalmente dall’interazione con l’energia solare.
Prendiamo in considerazione l’equilibrio geodinamico. Il suo andamento è ben rappresentato dal cosiddetto ciclo litogenetico, il ciclo delle rocce, almeno nella parte che avviene nel sottosuolo.
Le rocce ignee si formano quando il materiale che compone il mantello viene spinto verso la superficie. Queste rocce vengono immediatamente aggredite dai processi erosivi legati all’azione di idrosfera e atmosfera, quindi trasformate in rocce sedimentarie. Queste ultime possono essere portate di nuovo in profondità e compattarsi, deformandosi e riscaldandosi, dando origine così alle rocce metamorfiche, che a loro volta possono essere rifuse per tornare a far parte del mantello.
In superficie – equilibrio geomorfologico – si compie l’alterazione del materiale prodotto dal ciclo geodinamico: l’acqua, l’anidride carbonica e gli altri gas sono i principali responsabili del ciclo esterno, dunque della formazione e caratterizzazione dei diversi ambienti della superficie terrestre.
Complessivamente l’aspetto esterno della Terra è il risultato di un equilibrio dinamico tra l’energia interna del pianeta e quella esterna del Sole.
Un fattore molto importante è il tempo di questi equilibri: molto lungo nei processi interni, relativamente più breve in quelli esterni. Non è sempre così, però: terremoti ed eruzioni vulcaniche sono altrettanti esempi di variazioni molto rapide degli equilibri interni.
Generalmente, comunque, i tempi dei cicli sono geologici, cioè non paragonabili a quelli della scala dell’uomo: l’uomo stesso rappresenta un fattore fortemente perturbativo dell’equilibrio globale. Dalla sua comparsa sulla Terra a oggi le modificazioni più pesanti di equilibri millenari sono avvenute a causa sua e della sua attività, basti pensare all’immissione di gas nell’atmosfera, alla deforestazione, all’inquinamento degli oceani.

Risorse e riserve naturali
Una risorsa corrisponde al quantitativo totale di un certo materiale sulla Terra ed è un termine che va ben distinto da «riserva», che invece indica la percentuale di quella risorsa che può essere sfruttata.
Quindi, una risorsa può essere anche molto estesa, ma corrispondere a una riserva percentualmente molto poco disponibile.
Quasi tutte le risorse della Terra non sono rinnovabili a breve termine, e ciò significa che la loro gestione deve essere fatta in modo corretto, evitando di pensare che la nostra generazione sarà l’unica a vivere in questo mondo. Per effettuare una corretta gestione delle risorse è però indispensabile una conoscenza di base approfondita, ossia devono essere ben chiari tutti i termini della questione.
Queste considerazioni devono essere tenute presenti soprattutto nel momento in cui ci si pone il problema dello sfruttamento delle risorse, quindi dell’impoverimento delle riserve.
Lo sfruttamento è indubbiamente necessario all’uomo, ma non può essere attuato senza regole e senza preoccuparsi dei modi in cui questo avviene in rapporto al vantaggio che se ne può ricavare.

Combustibili fossili: carbone e petrolio
Per combustibili fossili si intendono tutte quelle sostanze che la Terra ha prodotto, molto lentamente, in centinaia di migliaia di anni, principalmente grazie alla morte di organismi viventi poi fossilizzati con particolari modalità. La caratteristica di queste sostanze è che quando bruciano producono energia restituendo, in un certo senso, quella conferitagli dagli organismi e dal Sole al momento della loro formazione.
Il petrolio è il combustibile fossile attualmente più sfruttato dall’uomo: come è noto, serve per fabbricare i carburanti, gli oli minerali e una quantità notevole di materie plastiche. In realtà sarebbe più corretto distinguere il petrolio dal gas naturale e dagli altri idrocarburi più pesanti, ma per comodità e per semplicità adottiamo il termine petrolio nel senso più ampio possibile.
La produzione del petrolio è passata dai tre miliardi di tonnellate degli anni Ottanta ai quasi quattro miliardi di tonnellate del 2008: un incremento notevolissimo che non ha conosciuto soste. In pratica, questo dato significa che le riserve di petrolio sono sfruttate in maniera indiscriminata e che non è da escludere che in futuro non rimarrà più molto petrolio da estrarre.
Ma prima di inoltrarsi in considerazioni sullo sfruttamento, forse è bene conoscere quali sono i termini reali della questione, a cominciare dall’inizio. L’inizio, in questo caso, coincide con l’origine e la distribuzione del petrolio sulla Terra. Come si forma il cosiddetto «oro nero»? Perché certi paesi ne hanno in abbondanza e altri non ne posseggono affatto?
In un golfo marino le acque tranquille permettono l’accumulo sul fondo di una sostanza fangosa molto ricca di materia organica (molluschi, piccoli crostacei, alghe) chiamata «sapropel». Questo fango, una volta costipato sul fondo, costituirà la roccia madre che si troverà a sprofondare sempre più sotto il peso degli altri sedimenti che continuano ad accumularsi. Il peso dei sedimenti soprastanti e le reazioni chimiche che si verificano nella roccia madre trasformano lentamente il sapropel in una miscela di idrocarburi gassosi e liquidi. A questo punto il petrolio è formato, ma generalmente le deformazioni che la crosta terrestre subisce e la pressione degli stessi gas lo spingono a migrare dentro le rocce che lo circondano, fino a che una serie di rocce poco permeabili non ne blocca il cammino verso l’alto. Le rocce in cui il petrolio migra sono chiamate rocce serbatoio e sono quelle su cui più si appunta la ricerca di nuovi giacimenti.
Come si può notare, occorrono due fattori fondamentali perché si formi un giacimento di petrolio: la presenza di abbondante materia organica in zone particolari delle aree costiere e il tempo.

Perché poi un giacimento possa essere individuato e sfruttato è necessario che la zona resti abbastanza tranquilla e che non ci siano, in sostanza, fratture o spaccature che ne favoriscano la dispersione.
Tutte queste condizioni in Italia non sono presenti, ecco perché finora non vi sono stati rinvenuti grossi giacimenti di idrocarburi, se si fa eccezione per quelli di metano della pianura Padana e della zona adriatica; soprattutto la storia tettonica molto travagliata della nostra penisola non ha mai favorito l’accumulo di giacimenti superficiali, vale a dire a meno di 3000-4000 metri.
Di carbone ancora oggi se ne consuma parecchio sulla Terra, qualche miliardo di tonnellate all’anno, ma non si tratta più dell’unica fonte di energia disponibile, come avveniva qualche decennio fa. L’estrazione e l’uso intensivo del carbone favorirono la rivoluzione industriale dell’Inghilterra del XIX secolo: macchine a vapore, ferrovie e generatori di energia funzionavano – e inquinavano! – a carbone.
Anche il processo di formazione del carbone è lungo e richiede condizioni ambientali un po’ speciali. Prima di tutto serve una laguna vicina alla costa in una zona dal clima tropicale: qui si può verificare l’accumulo, anche notevole, di resti vegetali che, mescolandosi ai sedimenti già presenti, dà luogo alla cosiddetta torba. Se la zona della torba viene seppellita da altri sedimenti, essa sarà sottratta al contatto con l’aria, mentre il peso del materiale soprastante favorirà una serie di reazioni chimiche interne.
A questo punto si possono sviluppare di nuovo le condizioni che hanno portato alla formazione del primo strato di torba, oppure lo sprofondamento può continuare e la torba può iniziare una serie di trasformazioni che la porteranno a diventare lignite, litantrace e antracite a seconda di quanto si spinga avanti il processo di allontanamento dell’ossigeno e di arricchimento in carbonio. L’ultimo stadio di questo processo è rappresentato, teoricamente, dalla grafite e dal diamante, che si formano però solo in condizioni particolari. Il processo di carbonificazione richiede tempi lunghissimi, decine di milioni di anni, ed è per questo che i giacimenti più importanti si trovano in regioni che ospitano rocce molto antiche, specialmente di quel periodo del paleozoico chiamato appunto carbonifero.
Per lo stesso motivo l’Italia, che è composta di rocce relativamente giovani, non ha importanti giacimenti di carbone tranne qualcuno in Sardegna, mentre essi sono diffusi negli scudi continentali antichi: Nord America, Russia e Asia in genere.
Nel nostro paese sono poco consistenti anche le riserve di petrolio. Alcuni giacimenti nell’Appennino emiliano sono stati sfruttati nella seconda metà dell’Ottocento per la produzione di olio, mentre nel 1940 si è cominciato a estrarre in Lombardia, nella zona di Lodi. Le riserve più consistenti si trovavano proprio nella pianura Padana e a partire dal 1953 sono state sfruttate dall’Eni (Ente nazionale idrocarburi), che però ha dovuto ben presto cercare approvvigionamenti all’estero.
Tra i combustibili fossili, infine, dobbiamo ricordare le sabbie bituminose, che possono essere lavorate e trasformate in petrolio grezzo oppure direttamente raffinate. Composte di bitume, sabbia, argilla e acqua, si trovano prevalentemente in Venezuela e Canada, soprattutto a nord della provincia di Alberta, ma esistono giacimenti più piccoli anche in Russia e Siberia . Lo sfruttamento di questa risorsa ha però effetti negativi consistenti: provoca inquinamento atmosferico e causa la distruzione di vaste aree di vegetazione, poiché le miniere sono a cielo aperto.

Il petrolio nello spazio e nel tempo
Un fattore che riveste importanza ai fini della valutazione delle riserve della Terra, in particolare del petrolio, è la loro distribuzione sulla superficie terrestre. Come si sa, le regioni più ricche sono quelle del Medio Oriente, della Russia, del Venezuela e dell’America del Nord (Texas).
I paesi che hanno le più grandi riserve non sono, però, quelli che ne consumano di più, a parte gli Stati Uniti; i grandi consumatori sono infatti l’Europa, il Giappone, la Cina, che ne posseggono poco, e comincia ad avvicinarsi ai loro livelli di consumo anche l’India. Da questo e da altri dati di fatto nascono situazioni di squilibrio i cui effetti possono essere drammatici.
Per quanto riguarda la distribuzione nel tempo, la maggior parte dei giacimenti di petrolio, anche se si è formato in tempi lunghissimi, non è molto antica, non ha cioè più di 40-50 milioni di anni. Per questo il petrolio è destinato prima o poi a esaurirsi, anche perché quello che si trova nei giacimenti è sfruttabile solo in parte a livello industriale.

Fonti di energia rinnovabili
Oltre al carbone e al petrolio che, come si è visto, sono riserve che possono esaurirsi, ne esistono altre legate all’attività della Terra, che risultano importanti per le esigenze dell’uomo. Tra queste i fluidi cosiddetti geotermici, già ora di grande interesse, inquinano poco e soprattutto non si esauriscono.
In alcune zone della superficie terrestre, per motivi di varia natura, esistono temperature profonde più elevate che in quelle circostanti, dette zone a flusso termico elevato. Le falde acquifere di queste aree, continuamente ricaricate dalle piogge, posseggono quindi temperature molto elevate, che possono superare i 300 °C e possono trovarsi anche allo stato di vapore. Si tratta perciò di veri e propri giacimenti di acqua e vapore caldi, già noti e sfruttati direttamente per gli usi più vari, come le terme e il riscaldamento delle serre.
In Italia, agli inizi del Novecento è stato scoperto e sfruttato il primo giacimento di fluidi geotermici del mondo, quello di Larderello, in Toscana, dal nome del francese Larderel, che lo scoprì. Da allora il giacimento è stato sfruttato per produrre energia elettrica, ma anche per riscaldare direttamente le case, attivare serre e favorire l’allevamento di animali.
Sull’esempio italiano altre zone della Terra sono state esplorate e sfruttate per produrre energia direttamente dalle viscere del pianeta. In Nuova Zelanda (Wairakei) e in California (The Geysers) sono oggi sfruttati i più importanti campi geotermici del mondo, e anche in Islanda e in Messico questo tipo di energia è in produzione da tempo.


Energia solare, energia dal vento ed energia dal movimento delle maree sono altrettante fonti di tipo rinnovabile che però, seppure importanti, non sono direttamente legate all’attività interna della Terra, quindi esulano dagli obiettivi di questo tema.

I combustibili nucleari
In un certo senso anche l’energia che deriva dal decadimento radioattivo di alcuni elementi, l’energia nucleare, va considerata una fonte non rinnovabile, come i combustibili fossili. Infatti, anche i combustibili nucleari, per esempio l’uranio, sono soggetti a sfruttamento da decine di anni; inoltre pongono problemi di inquinamento anche più gravi di quelli provocati dal carbone e dal petrolio.
A questo si deve aggiungere che l’uranio risulta piuttosto raro in natura e che per alimentare un reattore nucleare ne serve molto, nonostante un solo grammo di questo minerale produca la stessa energia di oltre due tonnellate di carbone o di circa 14 barili di petrolio (considera che 1 barile corrisponde a 158,990 litri, vale a dire a 140 chili).

Le materie prime
Finora si è visto come possono essere utilizzati materiali che producono energia, ma esistono anche minerali e rocce che di per sé costituiscono materie prime per molti prodotti. Tra questi il piombo, il rame, lo zolfo, lo zinco per non parlare di elementi che hanno un valore storico ormai acquisito come l’oro, l’argento o le pietre preziose.
Per alcuni di questi, come lo zolfo, già oggi sono gravi i problemi dell’esaurimento delle riserve: i tempi lunghissimi di accumulo rispetto alla velocità elevata di sfruttamento da parte dell’uomo sono, come sempre, alla base del loro impoverimento.
Inoltre, la loro «coltivazione» in cave a cielo aperto favorisce la dispersione nell’ambiente anche dei minerali tossici che vi si possono trovare associati, apportando un inquinamento complessivo notevole.
Anche i giacimenti di minerali, come il petrolio e il carbone, sono solo apparentemente distribuiti a caso sulla superficie terrestre, in realtà essi rispondono a precisi identikit geologici. Per esempio le zone del fondo oceanico in cui fuoriescono lave e gas favoriscono la formazione di composti chimici arricchiti in zolfo, piombo, zinco e rame.
Nelle vicinanze di graniti, che solidificano lentamente all’interno della crosta, si formano con facilità minerali di ferro e altri minerali pregiati. Un esempio italiano è quello dell’isola d’Elba. Spesso, però, i grandi giacimenti, per esempio quelli d’oro, hanno un’origine diversa: il minerale viene asportato dalle rocce in cui si è formato e preso in carico dai fiumi che lo depositano dove la loro energia diminuisce, formando i cosiddetti «placers» giacimenti di origine sedimentaria.
È qui che i primi cercatori d’oro si adoperavano con il setaccio per trattenere le piccole particelle del minerale.
Le zone ricche di giacimenti importanti sono distribuite lungo una fascia piuttosto continua che dall’Alaska attraversa le due Americhe, in Antartide e prosegue in Africa e in Asia fino ai margini dell’Australia. L’età di questi giacimenti fa supporre che essi si siano formati in tempi ravvicinati, quando quelle masse continentali erano tutte in collegamento tra loro, riunite nella Pangea di 250 milioni di anni fa. Anche in questo caso il tempo estremamente breve in cui l’uomo sfrutta ed esaurisce questi giacimenti non è nemmeno paragonabile a quello che la Terra ha impiegato per formarli: lo squilibrio tra risorse e sfruttamento, dunque, continua ad aumentare.

 

GLOSSARIO

Bitume. Miscela di idrocarburi.

Falda acquifera. Acqua che impregna le rocce di una certa porzione superficiale della crosta terrestre, che può essere estratta per consumo.

Flusso termico. Calore che attraversa una superficie campione della crosta terrestre.

 

ATTIVITÀ PER LE COMPETENZE

1- Spiega il concetto di equilibrio geodinamico.

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2- Cosa sono i Geysers?

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3- Affronta il seguente tema: le materie prime sulla Terra.

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4- Quali sono le fonti non rinnovabili?

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5- Leggi ogni paragrafo del testo, fai il riassunto di ognuno sottolineando le parole chiave. Poi ripeti tutto a voce alta.

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