Curcio Medie

La vita economica dell’URSS era stata già mutata all’inizio della Rivoluzione, con il tentativo di trasformare la società russa, agricola e fortemente arretrata, in società comunista: tutti i mezzi di produzione, o quasi, erano passati in mano allo Stato (proprietà agricole, industrie, mezzi di trasporto, banche, produzione d’energia), che non ne era divenuto solo il proprietario, ma ne aveva assunto direttamente la gestione.

Nello sforzo di trasformare velocemente il Paese in una potenza industriale, Stalin apportò sostanziali modifiche al sistema economico nazionale: dopo una lunga preparazione, si giunse alla programmazione dell’economia basata su piani quinquennali. Il piano quinquennale rappresentava il progetto concreto, da seguire obbligatoriamente, per realizzare il piano di sviluppo elaborato dal partito.
Il primo andava dal 1928 al 1933: la piccola proprietà privata, ammessa dalla nuova politica economica attuata da Lenin nel 1921 (NEP), fu completamente cancellata e per consentire un rapido sviluppo si importarono dall’estero macchinari e tecnici. All’industria leggera (beni di consumo) si preferì quella pesante (industria siderurgica ed estrattiva), ma questo comportò la mancanza di beni di consumo per la popolazione, carenza che nel tempo divenne cronica. 
Per aumentare la produzione nelle campagne e risolvere il problema della manodopera nell’industria si decise di meccanizzare massicciamente il settore agricolo: se infatti i contadini non fossero più stati necessari all’agricoltura, sarebbero stati impiegati nell’industria.

Lenin e Stalin nel 1922

La collettivizzazione delle terre, già iniziata con la nascita dei sovkoz (aziende agricole statali) e dei kolkoz (aziende collettive gestite da cooperative) fu portata a termine. Migliaia di persone vennero deportate nelle aziende agricole o nei nuovi centri industriali e i risultati furono notevoli (in cinque anni la produzione fu aumentata del 50%, raggiungendo in alcuni settori anche il 200%), anche perché, essendo isolata dalle altre nazioni, l’URSS non venne colpita dalla grande crisi economica del 1929.
Non si raggiunse però lo stesso successo nell’agricoltura: coloro che erano stati forzatamente portati nei kolkoz si opposero allo Stato limitando la produzione agricola (tra questi, si ribellarono soprattutto i kulaki, i piccoli proprietari terrieri). Alla fine del primo piano quinquennale, le scorte di cibo erano finite e si ricorse al razionamento delle provviste. Lo Stato rispose reprimendo la protesta con la forza (i kulaki furono sterminati), ma allo stesso tempo finì per consentire la sopravvivenza della piccola azienda privata, lasciando ai contadini dei piccoli appezzamenti di terreno. 
Con l’inizio del nuovo piano quinquennale (1933-1938) la produzione industriale crebbe ancora e la situazione nelle campagne sembrò tranquillizzarsi.

Quando salì al Governo Krusciov, egli si accinse a riformare l’economia dell’URSS a beneficio delle classi più povere, ma il sistema rimase essenzialmente identico. Si tentò di limitare la centralizzazione dei poteri, istituendo, al posto dei Ministeri centrali, i sovnarkoz (che però passarono presto da 105 a 17 soltanto) e si mutò il piano quinquennale con un altro della durata di sette anni.

La riforma non dette i risultati sperati e in seguito al crollo agricolo-industriale del novembre 1962 si tentò di uscire dalla crisi adottando norme meno rigide, lasciando maggiore autonomia ai dirigenti delle aziende e soprattutto garantendo una maggiore flessibilità del “piano”, per rispondere meglio alle esigenze della popolazione. L’industria sovietica mutava così la rigida impostazione precedente e si apriva anche ai generi di consumo.

Nel piano elaborato nel 1974 (in un periodo di grave tensione internazionale) veniva però restituita la priorità all’industria pesante, con lo scopo di consolidare, anche militarmente, la potenza sovietica.