Curcio Medie

L’Iliade e l’Odissea sono le due principali opere attribuite a Omero. A parte il loro altissimo valore letterario, hanno il merito di farci conoscere una grande civiltà di cui altrimenti non sapremmo nulla, quella micenea.

Si tratta di due poemi epici (v. epica) strutturati in modo analogo e rigorosamente unitario. Entrambi sono composti di 24 libri e sono scritti in esametri: 15.696 l’Iliade e 12.007 l’Odissea. Per quanto trattino ognuno un tema definito e concluso, sembra verosimile che siano stati concepiti come due parti di un tutt’uno.

L’Iliade, il più antico, ha per tema l’ira di Achille, un episodio del decimo anno della guerra di Troia. Nove anni prima, gli achei, sotto la guida del re Agamennone, hanno lasciato la Grecia per vendicare l’offesa che il figlio del re di Troia, Paride, ha arrecato al fratello di Agamennone, Menelao, al quale ha rapito la moglie Elena. Sono partiti con molte navi e da nove anni combattono contro i troiani, in un lunghissimo assedio. Principale difensore della città è Ettore, fratello maggiore di Paride e figlio del re Priamo. Partecipano anche gli dei, intervenendo ora a favore degli achei, ora favore dei troiani.

L’Odissea è dedicata o Odisseo, re di Itaca, il cui nome in italiano, attraverso una variante latina, è diventato Ulisse. Il poema racconta il suo ritorno in patria dopo la guerra di Troia. I nuclei poetici e narrativi sono due: i viaggi di Ulisse e la lotta, al ritorno, contro gli usurpatori. Le due parti sono precedute da quattro libri dedicati al figlio di Ulisse, Telemaco, e alla situazione di Itaca durante la lunga assenza del re. Contrariamente all’Iliade, l’Odissea non è un poema di guerra, ma di avventura; il suo fascino è quello dei viaggi verso l’ignoto; il suo segreto poetico è la malinconia dell’eroe stanco, che sospira la propria casa e si strugge di nostalgia per gli affetti familiari.

Nei due poemi si trovano le norme e i modi di tutta la poesia successiva: le metrica, le immagini, le similitudini, la ricchezza dell’aggettivazione. Ma la grandezza di Omero risiede principalmente nella lingua che usa, un miscuglio di tre dialetti greci: l’eolico, lo ionico e l’attico. In realtà, l’attico fu introdotto molto più tardi dai trascrittori, che adattarono il testo orale in modo da renderlo più comprensibile ai lettori contemporanei. I due dialetti più antichi, l’eolico e lo ionico, presentano forme oscillanti e talvolta contraddittorie, forse perché gli antichi aedi operavano modifiche liberamente. Di certo, però, i due poemi sono stati composti in una lingua letteraria che nessun greco usò mai come lingua parlata, ma che divenne lo strumento culturale dei greci delle isole e di Atene, dei poeti lirici e tragici, degli storici, dei filosofi.
La traduzione latina dell’Odissea di Livio Andronico (III secolo a.C.) diede inizio alla letteratura di Roma. Sull’impianto dei poemi omerici, poi, Virgilio strutturò la sua Eneide, a indicare che non era neppure concepibile un poema epico che non riprendesse rigorosamente i modi dell’epica omerica. Nel medioevo gli studi omerici decaddero, i due poemi scomparvero dalle poche biblioteche e furono rapidamente dimenticati. Nel XV secolo Omero fu recuperato dai dotti bizantini fuggiti da Costantinopoli dopo la caduta della città nelle mani dei turchi. Il greco tornò a essere studiato e Omero fu tra i primi autori di quella letteratura a essere trascritto, tradotto e stampato.