Curcio Medie

Il futuro dell’Europa affonda le sue radici nel suo passato, ma col 1989 è iniziata una fase di radicali trasformazioni di cui è difficile immaginare gli esiti.
L’Impero romano non andava oltre il Reno e il Danubio e il Sacro romano impero era poco più di una struttura formale.
Due secoli or sono, invece, sull’onda della rivoluzione francese, i popoli europei si avviarono a diventare protagonisti del loro futuro e sotto l’urto degli eserciti di Napoleone Bonaparte caddero molte frontiere e si realizzò il primo tentativo dell’epoca moderna di imporre con le armi l’unità politica del continente europeo. Dopo un secolo e mezzo, in nome di principi autoritari e razzisti, si realizzò un secondo tentativo di unificare il continente messo in atto da Adolf Hitler, capo del partito nazista tedesco, con una guerra disastrosa.
Tra le rovine delle città distrutte e nella disarticolazione della vita sociale sconvolta da sofferenze inenarrabili, fu chiaro agli europei che nulla poteva tornare come prima. Ormai l’emergere di due superpotenze, Usa e Urss, aveva aperto l’era planetaria: era tramontata la centralità dell’Europa nel mondo ed era finita l’era dell’eurocentrismo. I popoli delle colonie si apprestavano a liberarsi dal suo dominio, mentre si avviava al declino il modello di stato nazionale pienamente sovrano, che proprio in Europa aveva avuto la sua culla.
Gli stati dell’Europa occidentale si allinearono con la potenza statunitense e quelli dell’Europa orientale furono costretti nell’orbita sovietica.
Nacquero così i due patti militari: la Nato e il Patto di Varsavia.


Gli stati soggetti all’influenza sovietica – eccetto Jugoslavia e Albania, che presto e per motivi diversi se ne distaccarono – stabilirono stretti legami economici con l’Urss nel Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica).
Nella parte occidentale, invece, si formarono organismi di integrazione economica, sociale e politica che ebbero esiti diversi.
Da un lato si avviò il processo che portò alla creazione della Cee, della Ce e dell’Ue; dall’altro nacquero e morirono diverse forme di strutture associative più ampie.
La più antica è il Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio europeo), fondato nel 1949 con il Trattato di Londra e, oggi, comprendente 47 stati membri. Negli anni Cinquanta si costituì l’Area di libero scambio, che raccoglieva Svizzera, Austria, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda. Per breve tempo durò la Comunità europea di difesa (Ced), da cui nacque l’Unione europea occidentale (Ueo), anch’essa a carattere militare e che comprendeva quasi tutti i paesi della Cee (rimanendo tuttavia inoperante per la presenza della Nato).
Una svolta in questo processo associativo, esterno alla Cee, si ebbe con la Conferenza per la sicurezza e cooperazione europea (Csce), nata a Helsinki tra il 1973 e il 1975 (e destinata a trasformarsi, vent’anni dopo, nell’Osce, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). Nella Csce confluirono i
paesi della Cee e del Comecon e tutti gli altri stati del continente europeo (eccetto l’Albania, l’Urss e il Vaticano).
Nell’Atto costitutivo, firmato da 35 stati, si proclamò solennemente la volontà di promuovere la pace in Europa, lo sviluppo della libertà e la fruizione dei diritti umani tra i suoi popoli.
In particolare venne bandito l’uso della forza per la soluzione delle controversie internazionali, sancito il rispetto delle
frontiere uscite dalla seconda guerra mondiale, garantita la non interferenza negli affari interni dei singoli paesi e promossa la circolazione delle informazioni. Per lunghi anni l’Atto di Helsinki non ebbe concreti sviluppi – a causa del perdurare della guerra fredda tra Usa e Urss – ma servì a sostenere la formazione di un diverso clima nei rapporti tra i popoli e a offrire un punto di riferimento comune a iniziative di lotta per l’affermazione dei diritti umani nei diversi stati, specie in quelli soggetti all’influenza sovietica.
Questo processo si sviluppò con l’avvento della perestrojka, promossa nell’Urss da Michail Gorbaciov (eletto nel 1985 segretario del Partito comunista sovietico), e la fine della guerra fredda, che portarono – in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania – alla sostituzione dei regimi ispirati al modello sovietico con forme di governo simili al modello della democrazia parlamentare.

Il Patto di Varsavia e il Comecon vennero sciolti.
La Csce si rafforzò e acquistarono importanza le sue strutture organizzative: l’assemblea dei capi di stato e di governo, il consiglio dei ministri degli Esteri (che si riuniva ogni anno ed era assistito da un comitato formato da alti funzionari, il segretariato permanente con sede a Praga). Nella sua assemblea del 1990 fu approvata la Carta di Parigi, che ribadiva i principi di Helsinki e poneva le basi di un futuro pacifico per il vecchio continente dall’Atlantico agli Urali.
Nel 1991 su questa situazione – non certo priva di problemi e incognite ma ricca di prospettive e speranze – si abbatterono la disintegrazione dell’Urss, la fine del regime stalinista in Albania e il disfacimento della Repubblica federale jugoslava, mentre si affacciava il pericolo di una ripresa dell’espansionismo tedesco.
Nelle regioni dell’ex Urss – come negli altri paesi europei a regime collettivistico, dove la proprietà e i mezzi di produzione venivano gestiti dalla collettività – il passaggio da un sistema economico interamente regolato dallo stato al libero mercato generò disoccupazione, provocando gravi tensioni sociali e ritardi nella realizzazione di forme di democrazia parlamentare.
Il disfacimento della repubblica jugoslava, inoltre, aprì una fase di grande instabilità nella penisola balcanica, da secoli teatro di tensioni e guerre.
Tutto ciò rese difficile il compito della Csce e, al tempo stesso, rallentò il processo di integrazione europea. Sembrava offuscarsi l’immagine di un’Europa patria comune per tutti i suoi popoli, in cui i contrasti economici e le differenze linguistiche potessero essere risolti in nome di un superiore interesse comune e alla luce della tolleranza sorta all’indomani della Conferenza di Helsinki. Proprio mentre tutto spingeva a guardare al futuro in una prospettiva planetaria, riaffioravano tendenze particolaristiche che esasperavano le diversità etniche, linguistiche e religiose e ammantavano di idealità nazionali i contrasti economici. Riemergevano in questo clima le tendenze autoritarie e antidemocratiche che si espressero nei tentativi di riabilitare il fascismo e il nazismo e si accompagnarono a manifestazioni di intolleranza razziale e a forme di xenofobia.
Le sfide di quegli anni sono le stesse che stiamo vivendo oggi. Tali sfide rendono necessario un radicale mutamento culturale e politico che non può essere affidato solo ai governi, ma deve coinvolgere direttamente i popoli europei a sentirsi parte integrante del pianeta terra.
Gli europei devono diventare polo di riferimento per quanti vogliono contribuire a costruire un livello umano di vita per tutti gli abitanti del pianeta all’insegna della libertà e della solidarietà.
Essi devono prendere coscienza che il loro futuro è profondamente legato a quello degli altri popoli del pianeta e non solo a quello degli altri paesi ricchi del Nord del mondo, i cui alti livelli di vita sono garantiti a prezzo del basso livello dei paesi poveri che ne costituiscono il Sud. Gli europei, insomma, devono imparare a sentirsi cittadini del mondo.

Glossario

Eurocentrismo. Concezione per la quale l’Europa è considerata il centro del mondo e perciò destinata a dominarlo.

Perestrojka. Termine russo («ricostruzione») usato per indicare il complesso di riforme economiche introdotte in Urss nel 1987 dall’allora segretario del Partito comunista sovietico Michail Gorbaciov.

 

ATTIVITÀ PER LE COMPETENZE

1- Cos'è il Comecon?

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2- Cosa s'intende per eurocentrismo?

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3- Perchè il futuro dell'Europa affonda le sue radici nel passato?

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4- Qual è il futuro degli europei?

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5- Chi era Gorbaciov?

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