Curcio Medie

 

Forma di governo in cui titolare della sovranità è considerato lo stesso Dio.

La titolarità, tuttavia, non coincide con l’esercizio del potere; si possono perciò distinguere vari tipi di teocrazia, a seconda della forma attraverso cui si presenta la titolarità del potere.
In alcuni casi, la volontà divina si manifesta in determinati uomini, in genere sacerdoti o profeti, che governano per diretta ispirazione di Dio; in altri casi, l’esercizio della sovranità appartiene a coloro che sono considerati come l’incarnazione della stessa divinità e che, di conseguenza, si ritiene appartengano a una stirpe divina. Esempi del primo tipo si sono avuti tra gli ebrei nell’età dei re e nell’Islam (v. islamismo) al tempo di Maometto; un esempio del secondo tipo si può rinvenire invece nel Tibet, dove il Dalai Lama è considerato come l’incarnazione di Bodhisattva (v. buddismo). Tuttavia, molto spesso è difficile fare una netta distinzione tra le due forme di teocrazia, le quali possono coesistere nella stessa organizzazione.

La teocrazia è stata particolarmente studiata dalla storia delle dottrine politiche, che la definisce genericamente come quella forma di governo che trova il suo fondamento in Dio. Il termine fu usato per la prima volta dallo storico Flavio Giuseppe (Gerusalemme 37 – Roma 100), il quale volle distinguere la forma ebraica di governo da quelle teorizzate da Aristotele.
Le polemiche più moderne sulla teocrazia sorgono comunque con il cristianesimo che, se da una parte fonda una netta distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica, d’altro lato vede in Dio la fonte di ogni autorità costituita.
Il più famoso detto cristiano in relazione a questo problema è quello paolino, «Omnis potestas a Deo», il quale è stato variamente interpretato. Dapprima inteso nel senso che il sovrano è responsabile solo davanti a Dio (da cui ha ricevuto direttamente il suo potere), con la crisi dell’Impero e la rafforzata posizione della Chiesa, il detto paolino venne interpretato nel senso che il sovrano è sì il ministro di Dio ma, dal momento che la volontà divina si manifesta nel suo organismo principale che è la Chiesa, ogni sovrano viene sottoposto a essa. Questa interpretazione, che prevarrà in tutta la patristica e nella scolastica (v. Tommaso d’Aquino), permetterà alla Chiesa di riservare al solo potere papale (v. papato) l’origine divina. Queste tesi, i cui massimi sostenitori sono stati Gregorio VII, Innocenzo III e Bonifacio VIII, porteranno alla dottrina della superiorità del papato sull’Impero con l’attribuzione al primo del diritto di porre limiti al potere temporale e del potere di deporre lo stesso imperatore.

Le dispute sul primato temporale o papale trovarono in Egidio Romano il difensore del papato e in Guglielmo di Occam e Marsilio da Padova i principali difensori dell’Impero. Un posto a sé nella polemica merita san Tommaso il quale, nel tentativo di salvare l’unità della società, concepì una teoria democratica (v. democrazia) per cui Dio è sempre al vertice del potere, ma la mediazione tra la divinità e il principe è attuata, non dalla Chiesa, bensì dal popolo. Si cominciò a delineare così la crisi della concezione teocratica, crisi che avrà il suo epilogo nel Rinascimento.
In seguito la polemica si sposterà, nella mutata prospettiva storica, e le tesi teocratiche, seppure con qualche variante, non serviranno più per la difesa del potere pontificio.
Il fondamento divino del potere venne infatti riaffermato dai re, i quali ricorsero al concetto dell’«origine divina dei re» per giustificare e fondare il loro assolutismo. In seguito, l’illuminismo e le dottrine giusnaturalistiche (v. diritto) finirono di liquidare le dottrine teocratiche a vantaggio delle concezioni democratiche e liberali (v. liberalismo).