Curcio Medie

Abbiamo visto quale sia l’oggetto di studio della macroeconomia e quali gli elementi fondamentali a cui fa riferimento e che ne costituiscono l’ossatura, ma non abbiamo approfondito a che cosa serva conoscere questi dati e come utilizzarli. Lo faremo ora.

La radiografia di un paese
Economisti e uomini di governo – per comprendere meglio l’andamento economico del loro paese e per raffrontarlo con quello degli altri – studiano tre grandi ordini di problemi: la crescita, l’inflazione e il tasso di disoccupazione. Quanto è aumentata la produzione? Perché salgono i prezzi? Quante sono le persone che non riescono a trovare un lavoro?
Sono tutte questioni che danno l’immagine reale di come sia la vita della gente di un certo paese in un determinato periodo.
Conoscerne le condizioni non è soltanto un interesse scientifico o un’indagine sociologica e di costume, bensì lo strumento che dovrebbe permettere agli «addetti ai lavori» di prendere le opportune decisioni per indirizzare e influenzare l’economia in modo da migliorarla.
L’insieme di provvedimenti adottati dallo stato per incidere sulla vita economica di un paese costituisce la politica economica.

Nella foto, un’azienda in cui è impiegato un cospicuo numero di lavoratori.

La crescita
Il primo problema che si pone nell’analizzare la vita economica di un paese è stabilire se questa sia in una fase di crescita, di stasi o di recessione. Sentiamo continuamente ripetere queste parole, ma vediamo concretamente che cosa significano.
La crescita viene definita «un aumento della quantità di beni e servizi prodotti»; di conseguenza si dice che un sistema economico è in una fase di stasi quando la produzione non aumenta né diminuisce e che è in un momento di recessione quando addirittura la quantità di beni e servizi prodotti diminuisce.
È dunque chiaro che se aumenti e diminuzioni vengono definiti in rapporto alla situazione dell’anno o degli anni precedenti, maggiore è il numero di anni preso in considerazione, più ampio sarà l’andamento storico della produzione che sarà analizzato.
Inoltre, per non confondere un aumento del prodotto nazionale lordo con un possibile rialzo dei prezzi, esso sarà rapportato a un anno assunto come base, cioè calcolato facendo riferimento ai prezzi di quell’anno. Si ottiene in questo modo il cosiddetto Pnl reale o a prezzi costanti, che non tiene conto delle variazioni dei prezzi intervenute nell’arco di tempo considerato, ma solo delle quantità di beni e servizi effettivamente prodotti.

Ma perché si è usato un termine così ampio e generico per definire semplicemente un aumento della produzione? Perché in realtà l’incremento produttivo comporta una serie di conseguenze che interagiscono  e che, come un sasso lanciato nell’acqua, si propagano coinvolgendo la vita dell’intera società.
Infatti, la produzione aumenta se viene impiegato un maggior numero di persone oppure se vengono utilizzati in modo più efficiente i fattori di produzione già esistenti o effettuati nuovi investimenti (per esempio per introdurre tecnologie più avanzate). In entrambi i casi si avrà un miglioramento delle condizioni generali: nel primo caso, perché diminuirà il numero di disoccupati, quindi aumenterà il reddito complessivo delle famiglie; nel secondo caso perché comunque sarà maggiore la quota dei beni disponibile sul mercato. Inoltre, se aumenta il reddito delle famiglie, aumenta anche la loro capacità di acquistare beni (potere d'acquisto); cresce quindi la domanda e le imprese sono stimolate a produrre di più.

Ecco dunque spiegato perché un incremento del Pnl viene identificato con la crescita del livello generale di benessere di un’economia e anche di uno stato e della sua popolazione. Da quanto detto potrebbe sembrare che una volta innescato un processo di crescita questo non debba arrestarsi mai più; purtroppo non è così. Molteplici fattori interni ed esterni possono intervenire in qualsiasi momento a interrompere il trend  positivo. Pensate a un aumento considerevole e improvviso del prezzo delle materie prime importate dall’estero (per esempio il petrolio): in questo caso i costi di produzione subiscono un’impennata che si riflette immediatamente sui prezzi dei beni di consumo, costringendo i consumatori a diminuire il volume degli acquisti e gli imprenditori a ridurre, di conseguenza, la produzione.

Un’impresa che vende meno è costretta ad abbassare i costi diminuendo il livello di produzione, cosa che spesso comporta anche una riduzione del personale impiegato. La conseguenza immediata sarebbe un’ulteriore contrazione del reddito delle famiglie, quindi della loro domanda e, come un boomerang che torna indietro, una successiva riduzione dell’offerta. Anche in questo caso, tuttavia, si possono predisporre meccanismi di intervento atti a limitare i danni e a favorire il superamento della crisi.
Si può pensare, per esempio, di incrementare l’uso di una fonte energetica alternativa. Lo stato può considerare l’opportunità di favorire le aziende in difficoltà con finanziamenti straordinari o sgravi fiscali e, per il personale in eccedenza, si può ricorrere a una temporanea sospensione dal lavoro, comunque retribuita (come la cassa integrazione).

L’inflazione
Ma veniamo al secondo problema che rende inquieti i sonni di studiosi e uomini di governo: l’inflazione. Chi di noi non ha sentito parlare di questo fenomeno! Chi non è rimasto irretito e un po’ confuso da tabelle, percentuali, comparazioni, convincendosi alla fine, con sgomento, che c’è una sola ineluttabile realtà: l’inflazione cresce! Ma che cos’è quest’inflazione e perché sembra essere la bestia nera dell’economia?

L’inflazione non è altro che l’aumento dei prezzi, mentre il tasso di inflazione  è la percentuale a cui crescono i prezzi in un dato periodo; in genere si considera l’anno, ma spesso ci vengono comunicati attraverso la stampa e la televisione anche i tassi d’inflazione mensili, trimestrali o semestrali. Il tasso d’inflazione ci dice non solo che i prezzi sono aumentati, ma in che percentuale, in che misura o – in parole più semplici – di quanto, rispetto all’anno, al mese, o al semestre precedente.
Abbiamo risposto così alla prima domanda, cerchiamo ora di rispondere alla seconda: perché ci si preoccupa tanto dell’inflazione?

Abbiamo visto che i prezzi crescono, in genere, quando aumenta la domanda. Ovvero, se le famiglie vogliono aumentare il volume dei loro acquisti, richiedono una maggiore quantità di beni. Così facendo inducono le imprese ad alzare i prezzi e ad aumentare la produzione, impiegando tra l’altro più manodopera; ciò fa diminuire la disoccupazione e crescere i redditi, e fa ulteriormente lievitare la domanda. Ci troviamo, dunque, in una fase di crescita e ci aspetteremmo perciò che a essa si accompagnino una bassa disoccupazione e una più rapida inflazione.
In questo caso l’inflazione sarebbe l’effetto di un andamento positivo dell’economia; dunque perché preoccuparsi?

Semplicemente perché nella realtà si è verificato, e si verifica, che i prezzi crescano anche quando l’economia ristagna o è in recessione (si parla, in tal caso, di stagflazione). Ciò contrasta con la comprensibile aspettativa che a una crescita bassa o nulla si accompagnino un’elevata disoccupazione e un rallentamento dell’inflazione, se non addirittura una diminuzione dei prezzi, cioè una deflazione.

Quali sono dunque i motivi per cui i prezzi continuano a crescere anche nei momenti di crisi? Per quali motivi, addirittura, in alcuni casi in cui l’economia versa in condizioni particolarmente gravi vi è un’inflazione altissima (vedi per esempio alcuni paesi del Terzo Mondo)? Perché i prezzi purtroppo non crescono solo perché aumenta la domanda. Questa è una regola che funziona certamente se applicata a una situazione semplificata rispetto alla realtà, dalla quale è stata eliminata tutta una serie di variabili proprio per poterla studiare nei suoi meccanismi fondamentali. Essa risulta molto meno automatica e immediata se applicata a una situazione concreta, dove gli elementi che entrano in gioco sono molto più numerosi e complessi.
In molti paesi, compreso il nostro, i salari sono frutto di accordi contrattuali, in genere annuali, tra aziende e lavoratori, i quali non prevedono che le retribuzioni possano diminuire; anzi di volta in volta le adeguano al costo della vita, cercando di prevedere di quanto crescerà l’inflazione nell’anno successivo per poter mantenere i salari più o meno sempre a un certo livello. Ciò, se da un lato mantiene alti i costi delle aziende, dall’altro permette anche di mantenere alto il livello dei consumi, perché i redditi conservano il loro potere d’acquisto.
È evidente, però, che questo diventa un meccanismo circolare: crescono i prezzi, quindi crescono i salari, di conseguenza salgono i prezzi; è difficile così stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina. Diciamo quindi che un certo livello d’inflazione nelle nostre economie è considerato fisiologico  e si cerca di contenerlo entro limiti accettabili per evitare che salari e prezzi entrino in una spirale di ascesa vertiginosa. Facciamo il caso poi di un paese fortemente dipendente dall’estero per le materie prime o, peggio (perché sono molto più costosi!), per una gran quantità di beni di consumo; esso non solo subisce, necessariamente, tutte le variazioni di prezzo di questi ultimi ma, se non esporta merci in quantità tale da controbilanciare il valore delle importazioni, si trova anche nella triste situazione di chi ha comprato molto vendendo poco, e cioè con un sacco di debiti. Paesi di questo genere vengono catalogati come paesi con economie deboli; di conseguenza la loro moneta ha un valore inferiore rispetto alle altre, per cui i prezzi sul mercato interno non solo continuano a crescere, ma salgono vertiginosamente.
Infatti, le imprese industriali e commerciali, per cercare di rientrare in qualche modo dei costi altissimi, dovuti al fatto che sul mercato internazionale le merci si pagano in valuta cosiddetta pregiata, alzano i prezzi. Ciò trasforma la moneta del paese in questione praticamente in carta straccia: il debito con l’estero continua ad aumentare, cresce a dismisura il numero di disoccupati, ma cresce anche, e sempre di più, proprio per il motivo che abbiamo citato prima, l’inflazione.

È questo il caso di tutti, o quasi, i paesi del Terzo Mondo, che esportano per lo più materie prime a basso costo e importano beni finiti che, provenendo da paesi altamente industrializzati, hanno costi molto elevati.
Diverso è il caso di paesi dipendenti dall’estero per le materie prime ma con un alto livello tecnologico (è il caso dell’Italia), perché questi possono permettersi di vendere a prezzi alti i propri prodotti sul mercato internazionale e con ciò controbilanciare i soldi spesi per importare le materie prime che sono loro necessarie; è chiaro comunque che debbono stare attenti, perché sono in ogni caso alla mercé delle fluttuazioni dei prezzi dei beni che importano (valga per tutti l’esempio del petrolio) e devono sempre essere competitivi con i loro prodotti sul mercato internazionale, perché per essi è di vitale importanza venderli proprio lì, per evitare che il debito con l’estero diventi troppo alto.

La disoccupazione
E veniamo all’ultimo problema, non certo di minor rilievo, che è al centro delle analisi macroeconomiche e delle scelte di politica economica dei nostri e degli altrui governi: la disoccupazione. Abbiamo già detto che cos’è e sappiamo che è un problema fondamentale, perché tocca direttamente e profondamente le nostre vite.
Il lavoro è un elemento di primaria importanza nell’esistenza dell’uomo, perché rappresenta da sempre la fonte del suo sostentamento; allargando il discorso, quindi, non ci è difficile comprendere perché per un paese è di vitale importanza che la maggior parte della popolazione lavori e che tutti coloro che cercano un impiego abbiano la possibilità di trovarlo. È chiaro a tutti che un paese in cui le persone non possono lavorare è certamente un luogo misero dove la gente soffre e che, al contrario, un paese in cui tutti hanno un buon lavoro è un luogo che offre almeno la possibilità di una vita dignitosa.
Una fase di crescita o di espansione produttiva prevede un calo della disoccupazione e anche (e soprattutto) per questo va perseguita; inoltre non si può frenare troppo l’inflazione perché arrestarla del tutto può significare innescare un processo deflattivo che comporta tra l’altro un aumento della disoccupazione.
Le aziende, infatti, non potendo alzare i prezzi, per contenere i costi eliminano manodopera e questo è qualcosa che va evitato a ogni costo (tant’è vero che si ricorre magari alla cassa integrazione, ma non al licenziamento) non solo per il benessere della popolazione, ma anche per quello dell’economia, perché meno lavoro vuol dire meno reddito e meno reddito significa meno acquisti e meno acquisti meno produzione...

Un vecchio problema italiano
Sin dall’unità d’Italia la disoccupazione è stata un grave problema per un paese in cui la differenza tra le risorse produttive e l’incremento della popolazione era molto profonda. Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale le fasce più povere della popolazione, italiana cercarono sollievo alla disoccupazione emigrando in altri paesi, specialmente in quelli dell’America settentrionale e del Sud. Negli anni Venti il blocco stabilito dagli Stati Uniti all’emigrazione e le ripercussioni della grande crisi del 1929 peggiorarono il problema, che neanche il fascismo riuscì ad alleviare con la sua politica di lavori pubblici e con l’espansione coloniale in Africa.
Alla fine della seconda guerra mondiale la disoccupazione incideva fortemente sulla vita della giovane repubblica italiana, nata nel 1946. Dopo i primi provvedimenti di emergenza, si cercò di pensare una soluzione che affrontasse il problema alle origini, varando la riforma agraria e istituendo la Cassa per il Mezzogiorno, che avrebbe dovuto stimolare la rinascita e il decollo industriale del Mezzogiorno.

 

GLOSSARIO

Cassa integrazione. Istituita in Italia sin dal 1947, permette alle aziende in difficoltà di sospendere temporaneamente dal lavoro i propri addetti senza licenziarli. Il periodo di sospensione viene coperto mediante l’erogazione da parte dell’Inps di un’integrazione salariale.

Fisiologico. Normale, naturale.

Interagire. L’azione reciproca tra due fenomeni.

Politica economica. Insieme dei provvedimenti adottati dallo stato per incidere sulla vita economica di un paese.

Recessione. Si ha quando la quantità di beni e servizi prodotta in un anno diminuisce rispetto all’anno precedente.

Tasso d’inflazione. Percentuale a cui crescono i prezzi in un dato periodo, in genere un anno.

 

ATTIVITÀ PER LE COMPETENZE

1- La vita economica di un Paese quali fasi può attraversare?

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2- Perché un incremento del Prodotto Nazionale  Lordo viene identificato con la crescita del livello generale di benessere economico?

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3- Spiega il fenomeno dell’inflazione.  

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4- In quali casi si parla di «stagflazione»?

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5- Quando e perché fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno?

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